Friday 26 December 2008

Christmas in Korea

E' il 26 dicembre. Natale ormai e' passato, senza che neanche me ne accorgessi. E' stato il mio primo Natale lontano dall'Italia e dalla mia famiglia. Interessante direi. Il Natale coreano e' pressoche' inesistente, nonostante sia comunque festa nazionale. Non ci sono piu' luci del solito-il che sarebbe davvero difficile!- ma si respira il clima natalizio nei negozi: lo shopping pre-Natale e' maniacale anche qui e le panetterie cercano di vendere torte con Santa Claus allestendo banchi fuori dai negozi.

Anche io ho fatto shopping, finalmente. E ho assaporato amaramente la necessita' d'imparare a parlare il coreano. Indicare gli oggetti mi fa sentire piu' che un'imbecille. OK, ora so chiedere "quanto costa questo?", ma poi mi perdo nella risposta. Dunque, ho deciso di praticare i numeri chiedendo i prezzi di ogni cosa. Il coreano non e' una lingua che s'impara passivamente. Bisogna studiarla, imparare l'alfabeto e leggere qualunque cosa si veda per strada. Cosi', lentamente, s'impara il suono delle doppie vocali... o doppie consonanti, ma la maggior parte delle volte suonano esattamente allo stesso modo.

Seguirei un corso di coreano se i miei orari di lavoro me lo permettessero. Ma sembra essere difficile. Per fortuna il phrasebook sembra rivelarsi ancora utile. L'unica perplessita' e' che i coreani, nonostante la loro immensa gentilezza, hanno l'irritante abitudine di riderti in faccia spudoratamente ogni qualvolta provi a dire qualcosa nella loro lingua. Ho provato a spiegare che per gli Europei questa e' una pessima abitudine, ma sembra che loro non riescano a trattenersi dal ridere, dal momento che trovano troppo "cute" sentir parlare uno straniero nella loro lingua. Mah. Urge un corso di coreano in ogni caso!

Qui di sotto qualche foto scattata a Natale e alla vigilia!


Sunday 21 December 2008

La normalita' di un sistema corrotto

Quanto ci si puo' abituare ad un sistema marcio senza rendersi conto che, in realta', non e' normale? Senza realizzare che le cose potrebbero funzionare molto meglio senza un insano do ut des?

Saturday 13 December 2008

Trip to Gyeongju

Non ho potuto scrivere molto ultimamente, perche' la scuola e le lunghe ore mi hanno assorbito completamente. In realta' le ore reali di insegnamento non sono poi tante, ma le mie split shifts (turni separati) mi creano gaps enormi e non torno a casa prima delle 22.30 di sera per 5 giorni a settimana! Prometto di aggiornarvi presto sulla mia vita in Corea e con piu' dettagli di quanto stia per fare ora.

Lo scorso weekend io e Rob siamo stati a Gyeongju, una citta' a Sud-Est della Corea del Sud, famosa destinazione turistica e capitale durante la dinastia Silla (57 a.c.-935 d.c.). La citta' in se' non e' particolarmente interessante: manca di vita notturna, intense luci al neon e negozi aperti 24 ore su 24. Tutti particolari che sono una costante in Corea!

Nonostante tutto, il Museo e le tombe dei Kingdoms sono abbastanza sorprendenti e degni di essere visitati. Cliccate sul link Gyeongju e potrete trovare alcune foto.

A presto!

Sunday 30 November 2008

Una legge razzista o una legge contro il razzismo?

L' UE ha raggiunto un accordo contro il razzismo: chi incita pubblicamente all'odio e violenza contro un qualsiasi gruppo o membro di un gruppo definito in base alla razza, colore, religione o discendenza etnica o nazionale rischia sanzioni penali da 1 a 3 anni. Per di piu' chi nega o condona genocidi o crimini contro l'umanita' o di guerra rischia la stessa sanzione. 

Ora, questa legge ha 2 anni di tempo per essere approvata ed entrare in vigore. Inizialmente sembra totalmente adeguata e giusta: certo, qualsiasi atto di razzismo dovrebbe essere punito!
Ma poi rileggendo bene-premesso che non ho potuto leggere l'atto originale ma solo la notizia riportata dai giornali- mi sembra alquanto ambigua. 

Penso che qualsiasi atto che leda la persona fisica debba essere punito, ma come si fa a proibire ad una persona di esprimere il proprio parere senza incorrere in sanzioni penali? Voglio dire, come si fa a punire con il carcere una persona che usi parole non politically corrected o parole che possano essere considerate razziste? considerate razziste da chi? come si misura il grado di offesa di una parola o frase e come si delinea il limite fra esprimere la propria opinione-per quanto offensiva possa essere- e commettere un oltraggio razzista?

Non sto difendendo chi abbia idee discriminanti-assolutamente no!- ma difendo il diritto di esprimere i propri pensiere piu' o meno opinabili che siano! Sono del parere che le autorita' debbano intervenire in caso una persona venga molestata e offesa pubblicamente: ha assolutamente il diritto di essere tutelata, ma come si puo' mandare in prigione una persona per questo? Allora proibiamo a tutti di esprimere le loro idee, stupide, ignoranti o razziste che esse siano! Credo che i governi della UE potrebbero trovare sistemi migliori e piu' efficaci per fronteggiare il problema del razzismo: come campagne di educazione sul tema delle razze o corsi di multiculturalismo etc. Certo, tutti piani a lunga scadenza, ma non credo proprio che sbattere in cella sia una soluzione, benche' immediata. 

Inoltre, persino chi nega genocidi o crimini di guerra puo' essere condannato al carcere: che dire di quegli studiosi che dibattono sul numero delle morti dei genocidi nella storia? o di chi ha una visione diversa dei crimi di guerra? e' assurdo che non possano esprimere la loro idea e ottenere confronti!

Se ci dovessimo basare su questa legge, come dovrebbe essere giudicata la battuta di Berlusconi "Obama e' bello, intelligente e anche abbronzato?". In un articolo sull'Espresso Umberto Eco afferma che si puo' parlare di razza, ma non alludere e non dire esplicitamente il "colore". E se si fa, si tradisce l'appartenenza ad un ceto sociale piu' basso. Ma chi ha stabilito questa etichetta?

Io dal canto mio, odio questo super moderatismo nel parlare di razze. Nel momento stesso in cui abbiamo paura di pronunciare la parola "negro" o dire "e' nero" e' perche' pensiamo che sia offensivo, che sia discriminatorio: ma la sola idea che lo possa essere fa si che quindi lo sia. Dopo la battuta di Berlusconi-che a mio parere era cosi' poco astuta da poter essere considerata allusivamente razzista- dibattiti e proteste sono stati scatenati: perfetto. Perche' non avere dibattiti, dispute, proteste e libere espressioni invece di zittire tutti quelli che-ahime' per quanto ottusi possano essere- hanno il diritto di (s)parlare?

Un'ultima domanda prima di chiudere e bere il mio Korean rice tea: qualcuno sa perche' l'aggettivo "nippon" e' considerato estremamente offensivo dai giapponesi? Le mie ricerche non hanno avuto successo sino ad ora!

Friday 21 November 2008

Visa Run

Sono appena tornata dalla mia prima Korean Visa Run in Giappone, Fukuoka, ed ora di nuovo a Seul...

Per chi non sapesse, la Korean Visa Run consiste nel recarsi all' Ambasciata coreana del Paese piu' vicino per ottenere il visto con il quale poter lavorare legalmente in Corea. La cosa assurda-ma quasi divertente-e' che si e' OBBLIGATI a lasciare il Paese e poi rientrare per poter rendere il visto effettivo. Quindi non sarebbe sufficiente recarsi in un ufficio al centro: dopo aver ottenuto il permesso dall'ufficio immigrazione-e spedito tutti i relativi documenti, certificati, referenze etc.-bisogna attraversare il mare, correre all'ambasciata coreana, compilare un modulo, un paio di foto, 6,000 yen e ritornare la mattina successiva per ritirare il passaporto timbrato. Una notte di evasione dalla quotidianita' coreana e per di piu' spesata, in quanto il datore di lavoro di solito dovrebbe preoccuparsi di pagare il biglietto aereo.

In ogni caso: e' fatta. Finalmente ho superato il tedio di una prassi burocratica durata 6 settimane. Di questo noiosissimo ma necessario iter posso pero' salvare la preziosa sensazione di familiarita' una volta tornata in Corea, la scorsa notte. Sensazione del tutto inaspettata. E' stato come se fossi tornata a casa. Non fraintendetemi, adoro il Giappone, penso sia un Paese estremamente affascinante, con una cultura enigmatica e percio' particolarmente attraente. Esteticamente piu' ricco della Corea e anche molto piu' americanizzato. Ne prova il fatto che nell'area di qualche km non ho potuto trovare un ristorante tipico giapponese, ma solo American fast food chains o American Cafe'. Le persone sono cordialissime, gentili e sorridono divertite se uno straniero accenna un saluto in giapponese o un inchino come ringraziamento. Sono particolarmente rispettose e adorabili nel loro modo di behave. 

Eppure, tornata in Corea, gia' dalle prime luci dell'areoporto mi sono sentita avvolta da un senso di sicurezza che non era dovuto al fatto di essere in una citta' meglio conosciuta, ma al fatto di essere NELLA citta'. In Seul. C'e' qualcosa di particolare qui, qualcosa che rende la Corea unica. Forse la genuinita' delle persone, sempre pronte ad aiutarti sinceramente, forse la loro generosita' o la loro ingenuita' quando contano i soldi nella metropolitana o lasciano la porta del negozio aperta mentre sono dal parrucchiere di fronte o mangiano un "kimba" al ristorante vicino. Forse la loro curiosita' ed emozione quando ti fermano per strada perche' vogliono praticare l'inglese o per chiederti "May I help you?" anche quando non hai piu' la faccia smarrita da qualche mese ormai...

C'e' qualcosa d'incontaminato qui, qualcosa che forse si e' perso in Europa: la fiducia nell'altro e il senso palese d'umanita'. Non penso sia qualcosa che altre culture dovrebbero imparare, perche' le realta' sono ben differenti in altri Paesi. Penso solo a quanto sia interessante poter riscoprire e rivivere questo senso di sicurezza qui, in Oriente. Dove proprio non mi sarei mai aspettata. Cosi' lontana da dove sono nata. 

Ma poi che importa la distanza, sono sempre e comunque on the edge.

Sunday 9 November 2008

Liberi versi di nostalgia

Liberi versi di nostalgia

E suona di nostalgia questa notte, pesante
Di lontananza e rigurgiti di ricordi,
mentre nuove immagini prendono forma
sull’argilla di speranze e ambizioni di cartone.

E raccolgo le mie radici, di sapori, odori
E vocali chiuse in una lingua non dimenticata,
Aggrovigliata tra orizzonti di mille distanze 
e distanze di mille miglia di nostalgia.

È mia quella nostalgia come colla di affetti
E pensieri, come liquido vellutato di memorie
Ancorate a quella isola, al sapore di corbezzolo
E all’odore di ginepro, distesi sulla mia terra.

A.C.

Promenade

Just when I have inspiration...

PROMENADE

Suoni di una natura vivace,
tra passi di ricordi e riassunti di una vita fugace,
pensieri di memoria familiare
in un idioma conosciuto con vocali da articolare.

Distese di verde in prati e acque di fiume,
in un canale che da lontano si chiude,
in un’inglese veduta di un paese adottivo
che segna l’inizio e la fine di un motivo.

Parole e promesse sussurrate in un abbraccio,
passione e amore scivolate in un bacio,
dissolto su un acquarello di abbozzati desideri
e di due anime strette in progetti veritieri.

Ancore e navigli dipinti sulla via,
su passi di ritorno ad una casa non mia,
dubbi fluttuanti su acque indicanti
il nostro cammino di giovani amanti.

A.C.

Wednesday 5 November 2008

Obama President

Not sure why I feel kinda excited for Obama's victory. I have always said to be pro Obama because the alternative was much worse, but now I am actually happy. The recognition that Obama is actually the first African-American president of the United States is a pretty big step ahead. And also, I should admit I may have been captured by his charisma and promises of change. Maybe a little bit. 

He's already made history. All the rest is still unknown. Will see what happens.

Tuesday 4 November 2008

The pressure of marriage

Ho appena cominciato ad insegnare presso un'accademia privata di lingua e cultura italiana nella zona sud di Seul. Parlare con i miei studenti e' sempre molto stimolante ed ogni volta scopro nuovi ed interessanti tratti della cultura coreana.
Una conversazione tipo con persone coreane comincia solitamente con: "What's your major?".
Una volta individuato cosa hai studiato, le domande procedono verso una direzione piu' personale. 
In genere, se vi e' almeno una ragazza coinvolta nel dialogo, il tema del matrimonio emerge quasi sicuramente. Anzi, forse anche se la presenza femminile e' assente.
Questa sera, la mia lezione verteva sull'idea del galateo in Italia negli anni '50, ma per qualche ragione abbiamo concluso parlando del concetto di matrimonio.
Una ragazza coreana che a 27-28 anni non e' sposata o non e' fidanzata comincia ad avvertire la pressione dei parenti, che la spingono ad avere una famiglia. Perche' chiedo io. 
La risposta e': "Perche' no? come non ti vuoi sposare??"

Non essere sposati puo' rappresentare ancora uno stigma nella societa' coreana, anche se i movimenti femministi cominciano a sfidare questo concetto. Ma il buon costume, afferma che una ragazza coreana dovrebbe essere sposata prima dei 30, possibilmente non ai 29 perche' non e' segno di buona fortuna. 
Invece, una donna che ha superato i 30 e non e' sposata, ma possiede un buon lavoro, spesso un' ottima educazione e "good salary", viene chiamata una "gold Miss".
Il titolo sembra riferirsi sia all'immagine del luccicante gold dei soldi... sia all'idea che una donna ancora Miss dopo i 30 sia considerata preziosa ed ambita da molti uomini, quindi "gold".

In altre situazioni, sembra che le famiglie intervengano. Se la loro figlia o il loro figlio non sono ancora sposati, ci si ricorda di lanciare uno sguardo alle vecchie amicizie di famiglia, magari quelle non coltivate da tempo ma che- si rammenta- hanno dei figli in gamba...con un buon lavoro e buoni principi.
Quattro/cinque mesi e il matrimonio e' organizzato! E sembra funzioni!
Una pratica che ricorda un po' quella giapponese- la omiai se non mi sbaglio, ma accetto correzioni- dove le ragazze ancora nubili distribuivano- o ancora distribuiscono?- le loro foto migliori tra i parenti che a loro volta si sarebbero impegnati nel mostrarle a dei buoni partiti...

Per ultimo, una idea interessante sembra invece prendere piede qui in Corea: la celebrazione del matrimonio con tanto di festa e tutto cio' che normalmente e' previsto, ma senza la registrazione legale! Cosi' i due "falsi coniugi" avrebbero l'opportunita' di sperimentare l'unione per circa due anni, dopo di che decidere se legalizzare il tutto o meno. In pratica e' una sorta di convivenza celebrata a mo' di matrimonio che, pero', ha il grande potere di salvare le apparenze di fronte alla severa e conservatrice societa' coreana.
Insomma, i due fanno festa, si divertono, evitano polemiche... e nel mentre si fanno their business!

"Il matrimonio e' come una trappola per topi: quelli che son dentro vorrebbero uscirne, e gli altri ci girano intorno per entrarvi".
G. Verga



Sunday 26 October 2008

Timore dell'immobilita'

Quattro mesi fa io e il mio ragazzo ci siamo trasferiti nella Corea del Sud, lasciando l'amata verde Inghilterra per tentare una nuova strada, come un salto nel buio. 
Dieci giorni fa, dopo vari lavori nel No Profit sono riuscita a trovare una posizione come insegnante d'italiano presso una accademia privata di lingua e cultura italiana. Del tutto inaspettato. Ho fatto domanda solo per "fun". 
Ora sto lottando per sopravvivere alle beghe burocratiche che comporta ottenere un visto per lavorare nella Corea del Sud. Cio' significa costanti telefonate all'Ateneo perugino per ottenere vari certificati fra cui il mio diploma di laurea che, a detta dello staff in carica, "ancora non e' pronto". Certo, sono passati solo 4 anni dalla mia laurea, mi pare un po' prestino...
Inoltre, sollecitando un fax come risposta ad un' autorizzazione richiesta dal Consolato Coreano mi e' stato detto-con un tono di totale rassegnazione- "non siamo sicuri di essere capaci di inviare un fax sino alla Corea del Sud".

E qui potrei fermarmi. E risparmiare futili commenti. Invece la loro risposta mi ha fatto sprofondare in una tristezza assoluta. La nostalgia che ogni tanto avverto del mio Paese si e' trasformata in una sensazione di sfiducia e profonda maliconia. Come puo' un Paese vivere in tale immobilita'? come possono le persone chiudere gli occhi di fronte ai cambiamenti e farsi persino "spaventare" da una normalissima richiesta di un fax? forse la Corea risulta nel loro immaginario cosi' irraggiungibile?
Il 25 ottobre c'era un interessante articolo sul Corriere della Sera, intitolato "L'Italia Immobile"
 http://www.corriere.it/editoriali/08_ottobre_25/dellaloggia_22106116-a252-11dd-9d1b-00144f02aabc.shtml
che ben descrive questa sensazione di abbattimento e chiusura che ho percepito a distanza. Un' Italia ombrosa e con segni di decadimento che la maggior parte tende ad ignorare, nel nome dell' "antico e' bello".
Quando chiedo ai miei studenti coreani perche' vorrebbero andare a studiare in Italia, la loro risposta e' spesso la stessa: " Because it's old!"
Accenno un sorriso poco divertito, ma poi penso a quanto esteticamente il mio Paese possa essere attraente e quale incredibile cultura e storia ancora custodisca. E forse mi mancano le viuzze scoscese fatte di sassi, le strade vuote all'ora di pranzo e un espresso macchiato che sa veramente di caffe'. E sentir parlare in italiano e poter rispondere con totale naturalezza perche', hey, questa e' la mia lingua.

Ma allo stesso tempo, sono terrorizzata da questo immobilismo. Mi spaventa l'idea della totale assenza di meritocrazia, l'idea di una comunicazione lenta e faticosa, non solo con il resto del mondo ma anche all'interno dello stesso Paese. Mi spaventa il vecchio. Mi spaventa l'ansia. L'abbattimento. La preoccupazione del futuro perche' si ha paura di dimenticare il passato.
Mi spaventa l'Italia di oggi. E solo pensarci mi fa sentire profondamente italiana, perche' mi genera ansia.
Mi sento italiana piu' che mai stasera, ma forse e' solo un feeling: credo che l'identita' non sia solo un fragile attaccamento al Paese dove si e' nati.

Per oggi e' abbastanza.

Night.


Saturday 25 October 2008

What's about

"La mia lettera al mondo", ora nelle vesti di un blog, nasce dal disagio iniziale nel dovermi definire ogni qualvolta che conosco una persona nuova. E dal disagio ne e' nata una riflessione. Riflessione sul concetto d'identita' e sulla necessita' o meno di definire se stessi. Dal bisogno o meno di aver un'identita' stabilita a cui poter dire di appartenere. 
Una riflessione sulla sensazione di sollievo nel realizzare che la globalizzazione ha sfidato e continua a sfidare il vecchio statico concetto d'identita'.
Una riflessione sulla difficolta' o la semplicita' di potersi definire oggi e non volersi definire domani. 
And much more... meglio fermarsi qui o comincio a definire i contenuti del mio blog...

(Painting behind the title: Okita of the Naniwaya Teahouse 
C.1790 Kitagawa Utamaro)