Sunday 26 October 2008

Timore dell'immobilita'

Quattro mesi fa io e il mio ragazzo ci siamo trasferiti nella Corea del Sud, lasciando l'amata verde Inghilterra per tentare una nuova strada, come un salto nel buio. 
Dieci giorni fa, dopo vari lavori nel No Profit sono riuscita a trovare una posizione come insegnante d'italiano presso una accademia privata di lingua e cultura italiana. Del tutto inaspettato. Ho fatto domanda solo per "fun". 
Ora sto lottando per sopravvivere alle beghe burocratiche che comporta ottenere un visto per lavorare nella Corea del Sud. Cio' significa costanti telefonate all'Ateneo perugino per ottenere vari certificati fra cui il mio diploma di laurea che, a detta dello staff in carica, "ancora non e' pronto". Certo, sono passati solo 4 anni dalla mia laurea, mi pare un po' prestino...
Inoltre, sollecitando un fax come risposta ad un' autorizzazione richiesta dal Consolato Coreano mi e' stato detto-con un tono di totale rassegnazione- "non siamo sicuri di essere capaci di inviare un fax sino alla Corea del Sud".

E qui potrei fermarmi. E risparmiare futili commenti. Invece la loro risposta mi ha fatto sprofondare in una tristezza assoluta. La nostalgia che ogni tanto avverto del mio Paese si e' trasformata in una sensazione di sfiducia e profonda maliconia. Come puo' un Paese vivere in tale immobilita'? come possono le persone chiudere gli occhi di fronte ai cambiamenti e farsi persino "spaventare" da una normalissima richiesta di un fax? forse la Corea risulta nel loro immaginario cosi' irraggiungibile?
Il 25 ottobre c'era un interessante articolo sul Corriere della Sera, intitolato "L'Italia Immobile"
 http://www.corriere.it/editoriali/08_ottobre_25/dellaloggia_22106116-a252-11dd-9d1b-00144f02aabc.shtml
che ben descrive questa sensazione di abbattimento e chiusura che ho percepito a distanza. Un' Italia ombrosa e con segni di decadimento che la maggior parte tende ad ignorare, nel nome dell' "antico e' bello".
Quando chiedo ai miei studenti coreani perche' vorrebbero andare a studiare in Italia, la loro risposta e' spesso la stessa: " Because it's old!"
Accenno un sorriso poco divertito, ma poi penso a quanto esteticamente il mio Paese possa essere attraente e quale incredibile cultura e storia ancora custodisca. E forse mi mancano le viuzze scoscese fatte di sassi, le strade vuote all'ora di pranzo e un espresso macchiato che sa veramente di caffe'. E sentir parlare in italiano e poter rispondere con totale naturalezza perche', hey, questa e' la mia lingua.

Ma allo stesso tempo, sono terrorizzata da questo immobilismo. Mi spaventa l'idea della totale assenza di meritocrazia, l'idea di una comunicazione lenta e faticosa, non solo con il resto del mondo ma anche all'interno dello stesso Paese. Mi spaventa il vecchio. Mi spaventa l'ansia. L'abbattimento. La preoccupazione del futuro perche' si ha paura di dimenticare il passato.
Mi spaventa l'Italia di oggi. E solo pensarci mi fa sentire profondamente italiana, perche' mi genera ansia.
Mi sento italiana piu' che mai stasera, ma forse e' solo un feeling: credo che l'identita' non sia solo un fragile attaccamento al Paese dove si e' nati.

Per oggi e' abbastanza.

Night.


Saturday 25 October 2008

What's about

"La mia lettera al mondo", ora nelle vesti di un blog, nasce dal disagio iniziale nel dovermi definire ogni qualvolta che conosco una persona nuova. E dal disagio ne e' nata una riflessione. Riflessione sul concetto d'identita' e sulla necessita' o meno di definire se stessi. Dal bisogno o meno di aver un'identita' stabilita a cui poter dire di appartenere. 
Una riflessione sulla sensazione di sollievo nel realizzare che la globalizzazione ha sfidato e continua a sfidare il vecchio statico concetto d'identita'.
Una riflessione sulla difficolta' o la semplicita' di potersi definire oggi e non volersi definire domani. 
And much more... meglio fermarsi qui o comincio a definire i contenuti del mio blog...

(Painting behind the title: Okita of the Naniwaya Teahouse 
C.1790 Kitagawa Utamaro)